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calendar_today 30 maggio 2023
Come purtroppo di palese evidenza, la recente diffusione del Coronavirus ha avuto ed avrà, per un prolungato lasso di tempo, un fortissimo impatto sull’economia, sugli scambi e sui rapporti contrattuali internazionali, interessando, in particolar modo, il funzionamento sia della c.d. supply chain che della catena distributiva.
La casistica degli effetti sui rapporti contrattuali, con particolare riferimento all’inadempimento, è eterogenea, ma tuttavia, il tratto comune è rappresentato dai ritardi ed addirittura dalla impossibilità, per le imprese italiane, di adempiere alle proprie prestazioni (siano esse forniture di merci o prestazione di servizi), con un effetto a cascata che travolge i vari operatori economici, rendendo estremamente difficile l'inquadramento delle varie responsabilità.
In situazioni di emergenza (sanitaria in primo luogo, ed economica in secondo luogo) come quella attuale, i diversi operatori commerciali che si ritrovano nella condizione di non potere adempiere alle proprie obbligazioni contrattuali, sono soliti appellarsi alla c.d. clausola di forza maggiore.
Il rischio in cui, tuttavia, possono incorrere, è quello di ritenere che nelle transazioni internazionali sia applicabile e quindi invocabile sempre e comunque tale istituto, come disciplinato nell’Ordinamento italiano e come ivi comunementE ritenuto.
C’è poi un ulteriore aspetto delicato da sottolineare; mentre nel predisporre i documenti contrattuali, si dedica una grande attenzione a tutti i vari aspetti che caratterizzano le prestazioni, sin troppo spesso la clausola che disciplina la forza maggiore è standard e viene applicata uniformemente a tutti i contratti stipulati dall’Azienda italiana, senza tenersi in alcun conto del clima giuridico nel quale si trova il partner straniero, sull’erroneo presupposto che “tanto, i casi di forza maggiore sono uguali in tutto il mondo”. Niente di più sbagliato; a mero titolo esemplificativo, in Egitto, la giurisprudenza maggioritaria esclude espressamente la guerra dal novero dei casi di forza maggiore. Ne consegue che l’azienda che si accinge a stipulare o rivedere contratti internazionali, deve necessariamente dare disposizione agli estensori del contratto di verificare assai scrupolosamente come è disciplinata la forza maggiore nei Paesi di interesse, e soprattutto come viene gestita da un punto di vista pratico.
In questo senso, si rende pertanto utile - da un lato - evidenziare sommariamente quali siano le diverse accezioni caratterizzanti l’istituto della forza maggiore nei Paesi extra-UE di maggiore interesse, dall’altro fornire una serie di raccomandazioni “pratiche” finalizzate a tutelare gli operatori economici.
In linea generale, si può dire che l’istituto della Forza Maggiore od altro istituto analogo, è riconosciuto nella quasi totalità dei Paesi, anche se esistono sfumature o sinanco sensibili differenze tra le diverse nozioni, dovute al contesto storico e culturale di ogni Paese. ORDINAMENTO ITALIANO: Per ciò che attiene all’Ordinamento Italiano, lo stesso non prevede una definizione positiva di forza maggiore, ma tuttavia, riconosce all'articolo 1256, 1° comma, c.c., la possibilità che un'obbligazione si estingua quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. È rimessa pertanto alla giurisprudenza la determinazione delle criticità e dei limiti dell’istituto in parola.
PAESI C.D. DI COMMON LAW: Altrettanto accade nei Paesi i cui ordinamenti sono improntati alla c.d. “common law“, dove generalmente non esiste una definizione normativa del concetto di forza maggiore (sebbene esistano variazioni dello stesso concetto, come ad esempio, nella dottrina inglese in cui si parla di “frustration” o il concetto statunitense di “impracticability”, le quali permettono al contraente di estinguere/sospendere la propria obbligazione, allorquando la prestazione diventi impossibile per causa allo stesso non imputabile). Ne consegue che, nei sistemi di common law, le parti che scelgono di chiamare in causa la forza maggiore quale esimente da responsabilità contrattuale, specificando dettagliatamente le singole ipotesi di forza maggiore, hanno poca scelta se non quella di definire il concetto stesso all’interno dei contratti.
In questo senso, la formulazione della clausola di forza maggiore nell’ambito di un rapporto contrattuale, se riveste sempre e comunque notevole importanza, lo diventa vieppiù nei casi in cui una od entrambe le parti del rapporto risiedono in un Paese caratterizzato da un tale sistema giuridico, proprio per via del fatto che, in assenza di una regolamentazione normativa dell’istituto, sarà più complesso definire responsabilità e conseguenze se non preventivamente determinate pattiziamente.
PAESI DI DIRITTO ISLAMICO: L’accezione di “forza maggiore” appare non univocamente inquadrabile (secondo i canoni caratterizzanti i sistemi di civil law) anche nei Paesi di diritto Islamico. Infatti “la forza maggiore” - conosciuta nella lingua araba come quwwat al-qanun - non viene intesa come semplice e mero evento esterno, imprevedibile, non imputabile al debitore e comunque fuori dal suo controllo, ma come causa di giustificazione dovuta al verificarsi di un evento imprevedibile, ma inteso sempre e comunque come “atto di Dio”.
Conformemente al metodo “casistico” tipico della disciplina dei contratti islamici, tuttavia, l’evento esterno, ovvero l’“atto di Dio”, viene identificato tanto in un “fatto celeste” quanto in un “fatto dell’uomo al quale sia impossibile resistere”. Sono pertanto potenzialmente identificabili come cause di forza maggiore, ad esempio, tanto la pioggia che distrugge un raccolto e rende impossibile la sua consegna, quanto un ordine imperativo dell’Autorità.
Occorre inoltre rilevare che la Shari’ah estende il campo di applicazione della “forza maggiore” non solo all’ipotesi in cui per il debitore sia diventato impossibile adempiere alla propria prestazione, ma anche alla situazione in cui per il debitore sia divenuto - a causa di un mutamento delle circostanze riferibili alle obbligazioni ed ai diritti fondamentali del contratto - impossibile adempiervi esattamente od in parte.
Secondo il diritto musulmano infatti, un contratto dovrebbe cessare di essere vincolante per le parti qualora si sia verificato un mutamento (imprevedibile) delle circostanze riferibili alle obbligazioni ed ai diritti fondamentali del contratto, tale da rendere lo stesso eccessivamente oneroso per la parte obbligata , dovendo un contratto essere sempre giusto, equo e ragionevole.
Vale la pena sottolineare che per eccessiva onerosità si deve intendere - anche alla luce delle interpretazioni date dalla giurisprudenza, in particolare quella delle Corti egiziane e libanesi (che sono da considerarsi guida nel mondo del diritto commerciale) - quell'aumento dell'onere in capo ad una parte, che non poteva prevedere o che non poteva immaginare o stimare.
Il fondamento dell’istituto della forza maggiore, pertanto, risiede sempre nel principio dell’equo bilanciamento dei diritti e degli obblighi delle parti contraenti e la sua applicazione rappresenta un evidente esempio del richiamo a quei principi di equità, giustizia e sacralità che devono sempre caratterizzare un contratto di diritto musulmano.
Si rende necessario sottolineare, tuttavia, come le attuali Legislazioni di numerosi Paesi Islamici (ovvero di quei Paesi del mondo islamico che hanno permesso forme di codificazione e laicizzazione) abbiano provveduto, nel corso del tempo, ad una graduale occidentalizzazione del concetto di “forza maggiore”, sforzandosi di delinearne maggiormente i confini (per quanto il substrato giuridico rimanga sempre la Shari’ah) e tendendo a darne un’accezione maggiormente restrittiva.
FOCUS IRAN: Ad esempio, in Iran l’istituto della force majeure deve considerarsi pienamente esistente nell’ordinamento. L’avvenimento che ne sta alla base deve essere caratterizzato da tre profili ben definiti: l’inevitabilità; l’imprevedibilità e l’estraneità al controllo delle parti. Trattasi di una interpretazione del tutto in linea con quella prevalente nella maggior parte dei sistemi giuridici internazionali, ma difforme da quella degli altri ordinamenti basati sulla Shari’ah. L’epidemia del COVID-19, sembra rientrare inesorabilmente nella qualificazione di un evento inevitabile, imprevedibile ed incontrollabile. Preme sottolineare che, pur non facendo la normativa iraniana alcun espresso riferimento alle pandemie o epidemie come eventi di force majeure, il richiamo della Legge sul Lavoro ad eventi “simili a terremoti-alluvioni-guerre”, lascia intendere che i contagi su larga scala possano essere riconosciuti come avvenimenti patologici in un rapporto contrattuale.
FEDERAZIONE RUSSA: anche l’Ordinamento giudico della Federazione Russa delinei una definizione generica del concetto di “forza maggiore”, per cui si intende il verificarsi di circostanze eccezionali imprevedibili ed inevitabili, tali da esimere da responsabilità la parte che non adempie all’obbligo contrattualmente assunto, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dall’accordo delle parti.
Nell’ottica definitoria si colloca anche la Suprema Corte Russa, alla quale occorre riconoscere un ruolo primario per avere contribuito, attraverso copiosa giurisprudenza sul punto, a stilare un elenco di circostanze eccezionali in presenza delle quali possa essere richiamata l’esimente della “forza maggiore”, la quale richiede una sussistenza concomitante di requisiti dell’eccezionalità e dell’imprevedibilità riferiti al caso specifico.
È bene precisare che nell’Ordinamento giuridico russo le indicazioni in ordine all’individuazione degli eventi qualificabili come “forza maggiore” da parte della Camera di Commercio e dell’Industria russa godono di un particolare valore giuridico. In relazione a rapporti contrattuali sorti sul territorio russo tale Organo ha il potere di chiarire quali siano quelle circostanze eccezionali da considerarsi come eventi di “forza maggiore”.
Dalla breve disamina della normativa e dei provvedimenti russi in relazione all’istituto di “forza maggiore” emerge con tutta evidenza che vi si possono annoverare anche gli eventi epidemiologici.
REPUBBLICA POPOLARE CINESE: In maniera del tutto analoga, l'articolo 153 dei "Principi generali del diritto civile della Repubblica Popolare Cinese" e l'articolo 117 del "Diritto contrattuale della Repubblica Popolare Cinese" chiamano in causa la forza maggiore in caso di eventi imprevedibili, inevitabili, o nei casi in cui si verifichino cause ostative all'adempimento oggettivamente insuperabili.
Le normative cinesi sopra citate escludono la responsabilità della parte inadempiente se determinata da una causa di forza maggiore, come previsto, ad esempio, dall’articolo 107 dei " Principi generali della legge civile della Repubblica Popolare Cinese". Una ulteriore previsione di legge, in particolare vedasi l’articolo 94 della "Legge contrattuale della Repubblica Popolare Cinese" sancisce che le parti possano risolvere il contratto se una causa di forza maggiore ne ha reso l'oggetto impossibile.
Con riferimento all’epidemia o, più esattamente, pandemia, da Coronavirus, laddove le parti abbiano indicato l'evento epidemia tra le cause di forza maggiore, nessun dubbio vi dovrebbe essere circa l'assenza di responsabilità della parte inadempiente per motivi legati all'epidemia stessa. Anche laddove siffatto evento non fosse stato però espressamente menzionato come causa di forza maggiore, è probabile che i Tribunali cinesi lo considerino tale. Una siffatta affermazione deriva dai precedenti, nello stesso senso, già verificatisi in passato. Infatti, già nel 2003, con l’epidemia della SARS, ad esempio, ha permesso ai Tribunali ed agli organi arbitrali cinesi di ritenere questo tipo di epidemia come causa di forza maggiore.
Tuttavia, in alcuni casi, ovvero allorquando le misure contenitive adottate dal Governo non avevano impedito completamente l'esecuzione della prestazione, alcuni Tribunali non ritennero di escludere la responsabilità della parte, se non solo parzialmente. Attualmente l'Ufficio Generale del Ministero del Commercio cinese ha deciso di fornire alle aziende cinesi certificati di forza maggiore, rilasciati al fine di proteggere le aziende nel caso di mancato rispetto del termine di consegna delle merci dovuto all'epidemia.
Da quanto sino ad ora rilevato, il quadro legislativo internazionale risulta disomogeneo inducendo, gli operatori a definire direttamente e specificatamente, auspicabilmente per iscritto, i casi di forza maggiore e stabilire espressamente le conseguenze collegate alla loro insorgenza.
A livello internazionale solo il principio generale espresso nell'articolo 7.1.7 dei Principi UNIDROIT permette, astrattamente, un allineamento delle diverse discipline, attraverso la statuizione per la quale la parte inadempiente è esonerata da responsabilità se l'inadempimento è dovuto ad un impedimento derivante da circostanze estranee alla sua sfera di controllo, e che la parte stessa non era ragionevolmente tenuta a prevedere al momento della conclusione del contratto o ad evitare o a superarne le conseguenze. Analogo principio è contenuto nella Convenzione di Vienna del 1980 (all’art. 79) sulla vendita internazionale di merci.
Altro aspetto da tenere in considerazione nell’ambito dei contratti internazionali, è la differenza sussistente tra la clausola di forza maggiore e l’hardship clause.
Nel 2003 la Camera di Commercio Internazionale (ICC) nell’intento di fornire una utile guida agli operatori commerciali internazionali, predispose i testi standard, rispettivamente, delle clausole disciplinanti i casi di forza maggiore e di hardship.
La clausola di forza maggiore, c.d. Force Majeure Clause, prevede che la parte che si trovi a non poter eseguire il contratto per il verificarsi di una causa maggiore, non è ritenuta responsabile.
Diversamente la hardship clause disciplina le ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione. La sua finalità è quella di consentire alle parti di rinegoziare i termini degli accordi per permetterne l’adeguamento al nuovo stato di fatto. Qualora non venisse raggiunto un accordo, e solo in tale evenienza, sarà possibile richiedere la risoluzione del contratto.
Occorre ulteriormente rilevare che, mentre nell’ipotesi della forza maggiore, il testo suggerito dalla ICC disciplina le conseguenze di un evento imprevisto ed imprevedibile che rende una delle prestazioni impossibile da eseguirsi, la circostanza contemplata dalla clausola hardship non impedisce alla parte che la subisce di dare esecuzione al contratto, semplicemente rende la sua prestazione eccessivamente onerosa rispetto alla controprestazione.
In caso di verificazione dell’evento, tra contraenti che abbiano previsto all’interno del rapporto negoziale, la suddetta clausola, la parte che la invochi deve notificare alla controparte l’esistenza dell’evento allegando la prova che l’evento verificatosi corrisponda a quanto previsto dal contratto. In conseguenza di tale comunicazione, si procede alla sospensione della prestazione per permettere l’eventuale risoluzione dell’evento verificatosi. Qualora, la condizione impeditiva, dovesse permanere, trascorso un ragionevole termine, il contratto ben potrà essere risolto.
In conclusione, alla luce delle riflessioni effettuate, affrontando a grandi linee il tema della forza maggiore legata al Coronovirus, si rileva che si rende necessario operare una distinzione tra i contratti internazionali di media- lunga durata e quelli di brevissima e breve durata, atteso che, mentre per i primi è legittimo e ragionevole che la parte divenuta impossibilitata ad adempiere chieda ed ottenga (eventualmente ricorrendo all’Autorità Giudiziaria) un periodo di sospensione del contratto - periodo che sarà ragionevolmente più o meno lungo, proporzionalmente alla durata residua del contratto sottostante - per i secondi sarà alquanto difficile ipotizzare una sospensione, dato il ristretto arco temporale entro il quale deve/doveva essere adempiuta l’obbligazione.
In questi ultimi casi, sempre che ciò non sia previsto dal documento contrattuale e/o che le parti del rapporto non trovino un accordo sul punto, diventa assai difficile pensare al rimedio della sospensione del contratto, rappresentando la risoluzione/scioglimento del contratto la soluzione tipica, fermo restando che la parte che è divenuta inadempiente potrà, invocando la forza maggiore od istituto analogo, essere esonerato da responsabilità e quindi di non essere tenuto a corrispondere un indennizzo od altra forma di risarcimento, anche per equivalente, al creditore.
Una ulteriore riflessione va compiuta su un tema che non pare essere sinora stato affrontato adeguatamente: trattando il tema della forza maggiore, bisogna distinguere infatti tra contratti stipulati prima della diffusione della notizia dell’esistenza del virus, ma le cui prestazioni dovevano/devono essere ancora adempiute, perlomeno parzialmente, ed i contratti stipulati dopo che, usando la ordinaria diligenza, comunemente intesa, le parti avrebbero dovuto essere a conoscenza della esistenza del virus e la sua rapida diffusione. Ancora: l’esistenza del virus nel Paese di una delle parti od in entrambe le parti, vale in sè e per sè ad invocare la forza maggiore od equivalenti, e quindi a sottrarsi all’obbligo dell’adempimento?
Per quanto concerne la prima questione, il caso di forza maggiore o di istituto similare può, in linea teorica, essere invocato dalla parte che ritiene di essere non più in grado di eseguire la propria prestazione. Ma nella ipotesi in cui sia stato concluso un contratto dopo la divulgazione a livello internazionale dell’informazione che l’epidemia di Coronavirus si stava diffondendo al di fuori dalla Repubblica Popolare Cinese, con grande rapidità, certamente, ad avviso di chi scrive, nessuna delle parti potrà invocare la forza maggiore od istituti affini, in quanto l’evento era già conosciuto o avrebbe dovuto essere conosciuto usando l’ordinaria diligenza, con la conseguenza che, non riuscendo poi ad adempiere, dovrà essere ritenuto responsabile e pagare i danni.
E’ interessante la ulteriore e seguente problematica: potrebbe succedere, come in effetti sta materialmente accadendo, che una parte contrattuale < ubicata in un Paese in cui il Coronavirus non si sia ancora manifestato > debba eseguire delle prestazioni contrattuali ad una controparte a sua volta ubicata in un Paese non afflitto dalla epidemia, ma che la prima parte non riesca ad adempiervi in quanto non è in grado di ricevere dei componenti o dei semicomponenti o dei servizi da parte di un fornitore e/o sub-fornitore e/o da soggetti, necessari per il completamento del prodotto o del servizio ordinato, in quanto costoro trovasi in territori afflitti dalla epidemia, e quindi non in grado di evadere la commessa/ordine.
Vediamo di trarre delle conclusioni che possano valere nella maggior parte degli ordinamenti a livello mondiale:
Da un punto di vista prettamente operativo, si raccomanda quanto segue in linea generale:
(i) in caso di avvio di nuove trattative o di stipulazione di nuovi contratti od anche in caso di consegne ripartite e multiple, predisporre un testo contrattuale che disciplini – fra le altre cose – compiutamente i casi di forza maggiore e le conseguenti soluzioni ed auspicabilmente cercare di farle sottoscrivere; in mancanza, avere cura di trasmetterle all’altra parte in modo che, da un lato vi sia prova della avvenuta trasmissione, dall’altro lato sia presente una specificazione relativa al fatto che, l’inizio dell’esecuzione del contratto, equivale a tacita accettazione del documento contrattuale;
(ii) vista la estrema delicatezza della materia, evitare di usare clausole standard ma avere cura di disciplinare compiutamente i casi di forza maggiore, e le sue conseguenze (sospensione del contratto, per quanti mesi, come gestire la ripresa, i pagamenti, etc......), anche e soprattutto avendo bene a mente i Paesi nei quali poi dovrà essa essere invocata;
(iii) qualora non si sia ancora in una situazione di emergenza e quindi si sia ancora teoricamente in grado di adempiere gli impegni presi, avvisare per evidente correttezza e nel rispetto del più volte richiamato principio di buona fede, la controparte di trovarsi in un Paese (l’Italia) afflitto dalla epidemia e che non si può escludere un rapido deterioramento della situazione o comunque il sopraggiungere di una situazione che renda impossibile il corretto e/o puntuale adempimento (e.g. i corrieri che non ritirano o non consegnano, il blocco dei trasporti, etc....);
(iv) raccogliere e conservare quanta più documentazione possibile sullo stato dell’epidemia, gli effetti, etc..... (articoli, servizi, rapporti, e così via), a futura memoria;
(v) nel caso invece in cui si tema che il cliente non accetti la prestazione perché tema il pericolo del contagio (si pensi alle dicerie diffuse, magari ad arte, sul rischio che i prodotti agroalimentari siano mezzi di contagio del virus), acquisire documenti ed evidenze, anche pubbliche, che attestino che la produzione è regolare, che la merce è rigorosamente sottoposta a controlli, tests, etc...... in modo da essere in grado di diffidare efficacemente l’altra parte ad accettare la prestazione oggetto del contratto;
(vi) nell’ipotesi in cui che un’impresa straniera, debitrice di una prestazione, abbia invocato l’applicazione della forza maggiore, per ottenere l’esonero da responsabilità, ed abbia addotto come elemento di prova un certificato rilasciato da una Camera di Commercio, non limitarsi ad accettare detto documento in sé e per sé, ma approfondire se effettivamente l’epidemia abbia influito in maniera rilevante sull’azienda straniera. Più esattamente, in sè e per sè i certificati non implicano automaticamente l’applicazione della forza maggiore e/o l’esonero dalla responsabilità;
(vi) ove una impresa continui ad inviare o mantenga dei propri dipendenti e/o collaboratori e/o ausiliari all’estero, adottare immediatamente un protocollo accurato e dettagliato in materia di Travel Security;
(vii) le imprese devono aggiornare il Duvri, che è il documento di valutazione dei rischi.
Poi, sempre dal punto di vista meramente pratico, si suggerisce di procedere come segue, distinguendo il caso in cui la Società italiana sia la impresa che deve eseguire una prestazione (sia essa una fornitura di merci o di servizi) o sia invece la impresa debitrice del pagamento.
I° caso * prima ipotesi La Impresa italiana rischia di divenire inadempiente, non riuscendo più ad evadere gli ordini o ad eseguire le proprie prestazioni. Il consiglio è quello di avvisare e, se possibile, preavvisare la controparte con adeguato anticipo, che potrebbe verificarsi la possibilità di un blocco della attività. Questo per doveroso rispetto del principio della buona fede. Con la comunicazione di alert, converrà specificare bene le ragioni per le quali è sopraggiunta o sta sopraggiungendo la forza maggiore (i.e. blocco dei trasporti, blocco dei valichi di frontiera, blocco della produzione, i sub- fornitori che non forniscono, carenza delle materie, etc.......), in modo che venga esclusa qualsiasi negligenza.
Anche nel caso di “semplice” ritardo è raccomandabile darne comunicazione immediata alla controparte, avvisandoli del fatto che “a causa dell’impossibilità di mantenere i Vostri normali livelli produttivi, per fatti non dipendenti dalla Vostra volontà, i tempi di consegna della merce oggetto del contratto non potranno essere rispettati e che sarà pertanto necessario differire la consegna”
Conviene raccogliere poi i documenti a sostegno di quanto affermato (e.g. articoli di giornali, provvedimenti governativi o locali, corrispondenza con i sub-fornitori o con i trasportatori, etc........). Sarà altresì opportuno cercare di concordare con i partners commerciali soluzioni condivise, che siano eque e ragionevoli.
Focus macchine e impianti: Qualora l’attività produttiva dell’impresa abbia ad oggetto macchine e impianti, le indicazioni di cui sopra andranno estese anche all’eventuale installazione nonché alle verifiche e/o ai collaudi.
Più esattamente, nel caso in cui il contratto preveda anche l’installazione o la presenza di personale dell’azienda presso l’acquirente, è raccomandabile comunicare (nel caso invece in cui il contratto sia in corso si esecuzione) o inserire(in caso di avvio delle trattative o stipulazione di un nuovo contratto) un periodo del seguente tenore “occorre rilevare che anche taluni Paesi (previa verifica, aggiungere il nome del Paese dell’acquirente: “fra cui anche ....”), hanno posto pesanti limitazioni all’ingresso di cittadini italiani nel proprio territorio nazionale, il che rende estremamente complesso poter dar corso alle operazioni di installazione previste”.
* seconda ipotesi L’ Impresa italiana riceve dai propri fornitori/sub-fornitori stranieri le comunicazioni in cui, invocando la forza maggiore, essi dichiarano di non essere più in grado di adempiere ai propri obblighi contrattuali. Converrà richiedere loro la documentazione di supporto, e che effettivamente le difficoltà rappresentate incidano direttamente sulle prestazioni. Più precisamente, non è sufficiente che i fornitori invochino una generale situazione di difficoltà per via della diffusione del virus, ma devono fornire precise ed accurate evidenze documentali. I certificati emessi dalle Camere di Commercio di alcuni Paesi in linea generale non rivestono un carattere decisorio e definitivo, e “vanno presi con le dovute riserve”, valendo tuttalpiù come indizi ma non come una prova piena dal punto di vista giuridico. Quindi, il consiglio è che la Azienda italiana verifichi con grande accuratezza la bontà e la veridicità delle affermazioni della impresa straniera, e si accerti che non vi sia stata una negligenza di fondo (e.g. insufficienza delle scorte, errori di valutazione della gravità del contagio, etc......) che escluderebbe la forza maggiore, divenendo quindi quest’ultima responsabile di inadempimento e quindi tenuta a risarcire i danni subiti dalla Impresa italiana.
II° caso L’azienda italiana, per via della situazione emergenziale, rischia di non essere in grado nell’immediato di onorare i propri impegni verso l’azienda straniera. Valgono le stesse raccomandazioni riportate nel caso I°, alla prima ipotesi.
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