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calendar_today 30 maggio 2023
I prodotti forestali spontanei e le loro filiere, a torto ritenute minori, costituiscono una importante risorsa economica per il Paese: tra questi vi sono tartufi, funghi, erbe officinali, resine, sughero e le loro filiere di trasformazione. A tal riguardo la legislazione recente, sebbene ancora in modo del tutto frammentario, ha tentato di disciplinare e apprestare una tutela anche a tali prodotti ed - in modo embrionale - alle relative filiere. Si veda ad es. il D.lgs. 34/2018 conosciuto come Testo Unico in materia di Foreste e Filiere Forestali (TUFF)1, il cui scopo è garantire una gestione sostenibile del bosco che passi anche attraverso lo sviluppo delle filiere dei prodotti spontanei non legnosi che possano fornire un reddito.
Tra le molte filiere di prestigio quella del tartufo sembra assume un ruolo primario. Il rilievo del tubero va ben al di là del mero aspetto culinario. La sua commercializzazione, infatti, è un’attività economica che, solo in Italia, coinvolge più di 24mila cavatori e il mercato si aggira attorno ai 600 milioni2. Basti pensare che soltanto un paio di mesi fa, un esemplare di 830 grammi di tartufo bianco di Alba è stato battuto per 130mila euro ad un acquirente di Hong Kong, all’asta mondiale che si svolge nelle Langhe, in diretta dal Castello di Grinzane Cavour.
La “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali” sono entrate a far parte del patrimonio culturale immateriale dell’umanità tutelato dall’Unesco attraverso la loro iscrizione nella apposita lista Unesco. La decisione è stata adottata dalla sedicesima sessione del Comitato intergovernativo Unesco riunito a Parigi e comunicata il 16 dicembre scorso. La candidatura italiana ha visto il coordinamento tecnico-scientifico e istituzionale del Servizio II- Ufficio Unesco del Segretariato Generale del Ministero della Cultura (MiC). Il percorso è stato coadiuvato dalla partecipazione della comunità, c.d. comunità del tartufo, ovvero una rete interregionale composta dalle principali Associazioni quali l'Associazione nazionale Città del tartufo (Anct), e dai soggetti riuniti in gruppi associati nella Federazione nazionale associazioni tartufai italiana (Fnati), nonché da altre libere Associazioni.
L’ufficialità è arrivata a seguito della presentazione della candidatura presentata dalla Farnesina nel marzo 2020, ma ciò rappresenta solo l’esito di un processo iniziato quasi dieci anni prima con l’istanza delle associazioni dei tartufai ai ministeri della Cultura e dell’Agricoltura. Si tratta, infatti, della prima candidatura nazionale del patrimonio immateriale che rappresenta il tema della biodiversità culturale, e che segna un traguardo importante per la difesa di una tradizione determinante per molte aree della nostra penisola. Il riconoscimento Unesco è il culmine della cooperazione tra il Ministero della Cultura, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Maeci), la Rappresentanza Permanente Italiana presso l’Unesco e la Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco. L’arte della ricerca del tartufo – come sottolineato dalla Coldiretti – coinvolge in Italia una rete nazionale composta da circa 73.600 detentori e praticanti, ovvero i c.d. tartufai, riuniti in 45 gruppi associati nella Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani (FNATI), da singoli tartufai non riuniti in associazioni per un totale di circa 44.600 unità e da altre 12 Associazioni di tartufai che insieme all’Associazione Nazionale Città del Tartufo (ANCT) coinvolgono circa 20.000 liberi cercatori e cavatori.
Cerca e cavatura del tartufo in Italia rappresentano un patrimonio culturale immateriale di conoscenze e pratiche tramandate oralmente per secoli che caratterizzano la vita rurale dei tartufai nei territori tartufigeni italiani, una tradizione antica che accomuna l'Italia dal Nord al Sud declinata secondo l'identità culturale locale, tramandata attraverso pratiche che raccontano di un sapere che riunisce vita rurale e tutela del territorio.
Alla sempre crescente e riconosciuta importanza del tartufo si collega l’inevitabile necessità di ricercare una norma in grado di bilanciare la ricerca del prodotto sostenibile e la tutela dell’ambiente con l’interesse economico. In tal senso, il Senato sta ancora vagliando un disegno di legge volto all’adozione di un Testo Unico per la legislazione sui tartufi propedeutico ad una revisione dell’attuale legislazione nazionale in materia (legge 16 dicembre 1985, n.752)3. La vecchia legge, normativa quadro tutt’ora in vigore, prevede che, da oltre 35 anni, il Tuber Magnatum Pico venga comunemente chiamato Tartufo Bianco d’Alba, del Piemonte o di Acqualagna.
Attribuisce quindi sostanza alla provenienza territoriale del tartufo anche se, a tal riguardo, ci sono delle specifiche che non si possono tralasciare. Preme, dunque, sottolineare come tale denominazione non si riferisca alla presenza del tubero nell’esclusività di questi territori, ma si tratti più semplicemente di un appellativo che per prassi collettiva identifica una qualità di tartufo. Identico ragionamento è possibile con riguardo al Tuber melanosporum il quale viene volgarmente chiamato con il nome di tartufo nero di Norcia o di Spoleto (anche nella legge quadro).
Anche in questo caso si tratta di connotazioni territoriali che il tubero ha assunto nel tempo e che non hanno niente a che vedere con uno specifico legame con il territorio. In questa sede non si esclude né si afferma che la maggior parte della produzione di questi prodotti avvenga in quei luoghi e che la fama del prodotto sia legata inevitabilmente alla città e viceversa, ciò che però è opportuno tenere presente è che non si tratta di prerogative esclusive che tali città hanno in ragione di un rapporto esclusivo tra il prodotto e il territorio.
L’identificazione di un prodotto (potenzialmente) generico con l’utilizzo di un nome specifico rischia, talvolta, di essere fuorviante e non conforme alla normativa delle denominazioni alimentari prevista a livello europeo con l’obiettivo di tutelare gli standard qualitativi dei prodotti agroalimentari, salvaguardarne i metodi di produzione e fornire ai consumatori informazioni chiare sulle caratteristiche che conferiscono valore aggiunto ai prodotti. Perplessità, in verità, emergono con riferimento alla natura del tartufo, in particolare se sia qualificabile come prodotto o materia prima. Ad esempio, con riferimento al tartufo bianco, in particolarecon esclusivo riferimento alla città di Alba o di Acqualagna, tutti i processi di produzione, trasformazione ed elaborazione dovrebbero avvenire in quell’area geografica determinata.Posto che, non è chiaro che cosa si intenda per processi.
Infatti, ai sensi del Regolamento europeo n. 1151 /20124, recepito dall’Italia con decreto del 14 ottobre 20135, la denominazione di origine protetta (DOP) risulta essere riferibile ad un prodotto solo se questo presenta delle caratteristiche che sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico. Per cui, solo nell’eventualità in cui tali condizioni venissero soddisfatte il tartufo potrebbe senza dubbio ottenere la denominazione di origine protetta (DOP) aumentando così la notorietà del prodotto ed escludendo le produzioni non locali dalla possibilità di ottenere il medesimo marchio. In ragione di ciò, sempre ammesso che sia possibile assimilare ai tartufi un processo produttivo e che sia possibile trovare ed eseguire tutte lefasi del processo produttivo stesso, nel caso del Tuber Magnatum Pico, non avendo quest’ultimo caratteristiche organolettiche derivanti dal legame col territorio, tale ipotesi di riconoscimento sembrerebbe da escludersi. Eppure, quello del tartufo è pur sempre il riconoscimento del Made in Italy, certamente legato al territorio, ma non necessariamente ad una sola area circoscritta. Come noto le indicazioni geografiche si basano sul legame qualitativo territoriale. Esse sono capaci di indicare che in una determinata zona ci sono caratteristiche naturali e umane che apportano ad un determinato tipo di prodotto determinate caratteristiche.
Non si parla di unicità scientifica, quanto piuttosto dell combinazione di territorio (delimitato), metodo e lavoro che riesce a restituire come risultato quel determinato prodotto (es. Lardo di colonnata). Il fulcro, dunque, è il valore aggiunto dei prodotti territoriali. Ne consegue la necessità di untutela che permetta al prodotto di imporsi e di essere riconoscibile sul mercato per le caratteristiche intrinseche che possiede. è proprio questa la ratio della politica dell'Unione Europea, posta a tutela tanto dei consumatori quanto dei produttori, per permettere agli stessi di riconoscersi reciprocamente sul mercato. Questo passo deve essere ancora effettuato per il Tartufo, nonostante il Suo pregio da sempre non lasci dubbi sulla necessità di tutela del prodotto. Anche volendo, con una forzatura, ricondurre il tartufo di Alba all’interno dell’alveo di Indicazione Geografica Protetta (IGP) si riscontrano immediatamente delle difficoltà. Tale marchio si riferisce a prodotti originari di un determinato luogo, regione o paese il cui iter produttivo venga svolto per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata. In questo caso, il regolamento EU 1151/2012 non impone che il prodotto sia qualificabile sulla base di attributi derivanti dallo stretto legame con il territorio, bastando infatti che da questo legame ne derivi una reputazione per il prodotto e/o per il luogo. Come abbiamo avuto modo di riferire in precedenza, risulta tuttavia, essere particolarmente difficile delimitare la proliferazione (naturale) di tartufi ad uno specifico territorio. Per tale motivo se la città di Alba dovesse promuovere la richiesta per ottenere il riconoscimento di indicazione geografica protetta in relazione alla nascita dei tartufi sul proprio territorio, lo stesso potrebbe fare anche la città di Acqualagna così come tutte le altre in cui si svolge uno dei processi produttivi in modo esclusivo e che godono di notorietà per questo.
Forse ciò che più potrebbe fare al caso del Tartufo – anche qui con alcune evidenti forzature - è la denominazione STG, infatti, il regolamento disciplina e tutela anche le Specialità tradizionali garantite (STG)6. Possono fregiarsi di tale denominazione i prodotti agricoli o alimentari “ottenuti con un metodo di produzione, trasformazione o una composizione che corrispondono a una pratica tradizionale” e “ottenuti da materie prime o ingredienti utilizzati tradizionalmente”. Si tratta di prodotti specifici, tradizionali e conformi a disposizioni nazionali o consacrati dall’uso7 (esempi di STG sono la “mozzarella”, la “pizza napoletana”). La qualità di cui è espressione il segno STG, dunque, prescinde di regola dall’aspetto territoriale, poiché il riferimento ad un luogo o zona di origine è solo eventuale e l’uso della denominazione è consentito da parte di qualunque produttore di un Paese europeo che rispetti i metodi tradizionali di produzione indicati nel relativo disciplinare.
La procedura di registrazione di una STG, in modo del tutto analogo a quanto previsto per DOP e IGP, prevede che il richiedente8 avanzi dinnanzi all’autorità nazionale competente un’apposita richiesta, comprensiva di una serie di allegati, fra cui il disciplinare, da cui emergano le principali informazioni relative al prodotto e al metodo di produzione; il fascicolo così composto viene trasmesso alla Commissione per la verifica del rispetto dei requisiti previsti dalla normativa. Una volta avvenuta la registrazione di una denominazione come STG, troverà applicazione, per gli operatori che commercializzino un prodotto conforme al disciplinare, un regime di tutela e un sistema di controlli analoghi a quelli previsti per DOP e IGP. Alla luce delle argomentazioni sopra esposte si auspica quanto prima che il Tartufo italiano, nelle sue diverse declinazioni, oggi anche insignito della effigie di patrimonio dell’Unesco, possa trovare un giusto riconoscimento senza forzatura alcuna – anche creato ad hoc se necessario - che ne tuteli provenienza e filiera attraverso una regolamentazione che possa ridurre – se non azzerare – le frodi e le imitazioni a discapito del consumatore.
1 Decreto Legislativo 3 Aprile 2018, N. 34, Testo Unico In Materia Di Foreste E Filiere Forestali. 2 Panorama, Chi Trova un Tartufo Trova Un Tesoro, 27 ottobre 2021, p. 74 3 Legge 16 Dicembre 1985, N. 752, Normativa Quadro In Materia Di Raccolta, Coltivazione E Commercio Dei Tartufi Freschi O Conservati Destinati Al Consumo. 4 Regolamento (Ue) N. 1151/2012 Del Parlamento Europeo E Del Consiglio Del 21 Novembre 2012 Sui Regimi Di Qualità Dei Prodotti Agricoli E Alimentari 5 Decreto 14 Ottobre 2013, Disposizioni Nazionali Per L'attuazione Del Regolamento (Ue) N. 1151/2012 Del Parlamento Europeo E Del Consiglio Del 21 Novembre 2012, Sui Regimi Di Qualita' Dei Prodotti Agricoli E Alimentari In Materia Di Dop, Igp E Stg. 6 in origine disciplinate dal regolamento (CEE) n. 2082/1992 come “Attestazioni di specificità”. 7 Per tali tipologie di prodotti la Commissione istituisce e gestisce un apposito registro.
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