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calendar_today 30 maggio 2023
La situazione di conflitto russo-ucraino ed i recenti avvenimenti rappresentano - purtroppo -l’esemplificazione più tragica delle innumerevoli criticità correlate al commercio internazionale e, per ciò che è qui di interesse, delle innumerevoli problematiche di natura giudica sottese allo stesso.
Districarsi tra gli embarghi, i divieti, i boicottaggi, le restrizioni, le barriere tecniche all’import, le formalità previste in materia di antiriciclaggio, e, più in generale, tra le misure adottate da Istituzioni ed Organizzazioni Internazionali, Stati Sovrani ed Entità varie in materia di controllo delle esportazioni e delle importazioni e dei flussi dei pagamenti internazionali, è diventato davvero difficile, non solo per la crescente mole delle disposizioni normative e regolamentari che vengono adottate con crescente rapidità ed altrettanto rapidamente aggiornate, ma anche perché si verificano di continuo accavallamenti tra le misure adottate, ad esempio, dalle Nazioni Unite o dalla UE, con le misure adottate unilateralmente da Stati Sovrani o da altre Organizzazioni Internazionali.
Inoltre, l’intensificarsi del terrorismo internazionale e l’aumento dei conflitti che hanno interessato Paesi limitrofi al territorio dell’Unione Europea, hanno, nel corso degli anni, fatto accrescere in maniera esponenziale la richiesta di sicurezza da parte della Comunità Internazionale ed hanno comportato la problematica del controllo sulla esportazione di beni e sul trasferimento di tecnologie che, per loro natura, e per il loro elevato contenuto tecnologico, possono essere usati sia per fini civili pacifici (e per perseguire i quali, essi sono stati ideati, concepiti e poi realizzati) ma anche per scopi terroristici e di natura bellica fortemente aggressiva.
Si parla quindi dei beni c.d. a duplice uso (od anche denominati “dual use”) ovvero di tecnologie e di beni progettati e fabbricati per un uso civile, ma che possono trovare un impiego di tipo militare, soprattutto nei settori non convenzionali.
Pare utile sgomberare il campo da un equivoco che, da quando è stata adottata la normativa in materia di dual use, continua ad aleggiare nel mondo delle imprese, posto che una moltitudine di aziende (solitamente in buona fede) è convinta di esportare beni o tecnologie non duali, solo ed esclusivamente sul presupposto che, operando esse aziende in un settore civile (pensiamo, ad esempio, ai macchinari ed agli impianti industriali destinati alla fabbricazione di alimenti) i loro prodotti o tecnologie non possono avere una diversa destinazione, e che non sono o possono quindi essere considerati come ARMI. In realtà, i materiali di armamento sono progettati e costruiti specificatamente per uso militare o per essere impiegati dalle forze di polizia; i beni a duplice uso, viceversa, sono progettati e fabbricati per chiari scopi civili ma che, per la presenza al loro interno di certi materiali, di certi componenti o per l’elevato loro contenuto tecnologico, possono trovare un utilizzo anche bellico.
Allo sviluppo esponenziale di leggi e di regolamenti in materia di duplice uso e di sanzioni internazionali, si sono aggiunte nel tempo proprio le normative in materia di antiriciclaggio, di contrasto all’evasione fiscale, in materia doganale, in materia di trasferimento dei dati sensibili e così via, con la conseguenza che, per una corretta gestione delle esportazioni e delle importazioni, così come dei pagamenti e di ogni tipologia contrattuale che abbia punti di contatto con controparti straniere, è indispensabile effettuare tutta una serie di analisi preliminari in ordine ad accertare l’esistenza di rischi connessi all’operazione che si intende realizzare.
Con la espressione “Export control compliance” si intende comunemente il quadro, o meglio, l’attività multidisciplinare che affronta e tocca tutte le attività di Export e di Import (sia che trattasi di contratti di vendita di beni o servizi, di beni materiali od immateriali, sia che trattasi di contratti di appalto, di licenza e, in generale, di qualunque tipo di accordo che involga soggetti ubicati all’estero, nonché di tutte le attività connesse e relative, quali il trasferimento di denaro, la scelta dei mezzi di pagamento, e così di seguito), che in qualche modo rientrano nell’ambito di applicazione delle norme cogenti e di ordine pubblico disciplinanti il controllo sulle esportazioni, avuto riguardo alla disciplina del dual use, ed il controllo sia sulle esportazioni che le importazioni, relativamente ai divieti, alle restrizioni, e, più in generale, alle misure adottate dalle competenti Autorità Pubbliche (e.g. embarghi, boicottaggi, sanzioni, misure restrittive, etc…….).
Questa attività di controllo ha pertanto la finalità di fare in modo che il soggetto che deve effettuare una operazione nell’ambito del commercio internazionale (i.e. aziende, consorzi, enti sia pubblici che privati, professionisti, Università, centri di ricerca, società di consulenza, e così via, che, per comodità espositiva vengono d’ora in poi cumulativamente designati come le “Entità”) sia posto nelle condizioni di: (i) avere una chiara idea del quadro normativo di riferimento; (ii) della mappatura dei rischi potenzialmente connessi al compimento della operazione stessa; (iii) conseguentemente, disporre le più opportune verifiche, in modo da eliminare o, quantomeno, ridurre sensibilmente, il rischio che vengano commessi degli illeciti, eventualmente non solo di natura amministrativa ma anche di natura penale.
Atteso che il sistema sanzionatorio che si accompagna alle normative in materia di controllo delle esportazioni e delle importazioni è solitamente assai severo, ed al di là della rilevanza e della gravità in sé e per sé delle pene comminabili (i.e. sequestro o confisca di beni, sanzioni pecuniarie, misure restrittive della libertà personale, congelamento di beni, interdizione dai pubblici uffici e dalla possibilità di lavorare con Pubbliche Amministrazioni, etc….) non si possono sottacere le conseguenze negative che la Entità destinataria di una sanzione potrebbe subire per aver inottemperato a delle regole e/o a dei divieti, in termini di danno reputazionale e di immagine, di violazione di codici di condotta e di buone pratiche.
Si segnala, a questo proposito, che l’accertata violazione di norme di ordine pubblico in materia di Export Control, può avere anche delle serie ripercussioni sul “rating di legalità”; come è noto, il “rating di legalità” è un indicatore sintetico del rispetto di elevati standard di legalità da parte delle imprese, che viene attribuito, su richiesta della parte interessata, dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, concessione alla quale l’Ordinamento Italiano ricollega la concessione di vantaggi in materia di erogazione di finanziamenti pubblici e di agevolazioni per l’accesso al credito bancario.
Non solo: il rispetto puntuale ed esatto dell’Export Control Compliance produce un ulteriore effetto positivo, considerato che, nel caso in cui le Entità siano adempienti e “convergenti con il programma operatori fidati" adottato dalle Dogane (AEO - Authorized Economic Operator) e con i programmi equivalenti applicabili in altri Paesi extra-UE o con il programma “Export Compliance Certified Organization”, esse possono usufruire di una serie di agevolazioni, con l’effetto di snellire i tempi delle procedure doganali, con conseguente risparmio di tempo e di costi.
Va poi rilevato che l’espressione “Export Control” deve essere intesa in senso ampio, e quindi non limitata solamente al “lato export” di una operazione con l’estero, in quanto - come correttamente è stato definito anche dal Code of Export Compliance redatto da EIFEC (European Institute for Export Compliance) - con questo termine si include anche il “lato import”, da cui ne deriva che l’attività di controllo deve necessariamente includere anche tutte le operazioni di import dall’estero, in particolare quelle che implicano trasferimenti di denaro.
La materia dell’Export Control è caratterizzata dall’essere un coacervo di disposizioni legislative, di regolamenti, di misure e di atti che non solo provengono da una pluralità di Organizzazioni ed Istituzioni Internazionali, ma anche da Stati Sovrani, che adottano misure che vengono ritenute applicabili anche al di fuori dei propri confini territoriali (vedasi, ad esempio, il sistema delle c.d. “Sanzioni secondarie” adottato dagli USA in materia di embarghi disposti verso taluni Paesi, che esplicano effetti anche nei confronti delle imprese e dei soggetti di nazionalità diverse, comprese quelle imprese italiane), e che rivestono caratteristiche e forme assai diverse tra di loro ed ovviamente diverse rispetto alle caratteristiche che connotano i provvedimenti normativi previsti dall’Ordinamento Italiano.
Proprio la variegatività e la moltitudine delle fonti normative cui si deve tener conto nel trattare la materia dell’Export Control, deve indurre l’operatore a prestare la massima attenzione anche alla delicata problematica connessa alla c.d. “Gerarchia delle Fonti”, espressione con la quale nel mondo del diritto si indica che una norma contenuta in una fonte di grado inferiore non può contrastare una norma contenuta in una fonte di grado superiore (ad esempio, una Ordinanza emessa dal Sindaco di una città non può andare in contrasto con una Legge dello Stato).
In estrema sintesi, nel trattare la materia dell’Export Control bisogna avere riguardo non solo alla normativa nazionale, che a tutti gli effetti oggi ha una importanza relativa, quasi residuale, ma anche e soprattutto alla normativa [pure di tipo tecnico, la già richiamata normazione] elaborata dalla “Comunità Internazionale”, intendendosi con questo termine l’insieme dei soggetti internazionali esistenti, ossia gli Stati sovrani, le Organizzazioni e le Istituzioni Internazionali, gli Organismi di normazione, e gli enti, anche privati (ad esempio, la Camera di Commercio Internazionale, che è un soggetto privato a tutti gli effetti) che ricoprono una funzione significativa nella comunità internazionale.
In via del tutto orientativa e senza alcuna pretesa di completezza, si può affermare che gli attori principali di cui tenere conto sono le Nazioni Unite, la UE, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, l’OCSE, e via via le varie Organizzazioni Internazionali, il GAFI, gli Stati Sovrani e gli enti indicati nell’elenco riportato in nota.
Per quanto concerne l’Europa, le decisioni politiche che attengono gli interventi e le misure da adottare nell’ambito della Politica Estera di Sicurezza Comune (PESC) adottate dai vari Organismi (Consiglio e Commissione UE) vincolano gli Stati Membri, i quali, in base al Trattato di funzionamento della stessa Unione (TFUE) hanno l’obbligo di conformare le proprie politiche ed ordinamenti giuridici alle decisioni adottate dall’Unione.
Tutte le misure restrittive all’esportazione e/o all’importazione, gli embarghi di qualunque genere, le sanzioni, sia di natura politica che economica, incluse le c.d. “smart sanctions” [che sono le sanzioni destinate ad individui o gruppi di individui al fine di ridurre le conseguenze economiche] il diritto doganale, la disciplina del contrasto ai fenomeni criminali e terroristici, sono adottate dalla UE, e gli Stati Membri devono conformarsi, anche in ossequio al principio del primato che riveste il diritto dell’Unione Europea rispetto ai diritti nazionali dei singoli Stati Membri.
Le decisioni di natura politica adottate dal Consiglio della Unione Europea relativamente alle questioni di Sicurezza Comune, possono estrinsecarsi:
Posto che, fatte salve le debite eccezioni, in linea di principio il diritto della UE è fonte normativa sovraordinata rispetto al diritto nazionale, vi è da dire che generalmente la normativa comunitaria, nella materia dell’Export Control, per quanto afferisce il sistema sanzionatario, fornisce solamente indicazioni a carattere generale, demandando ai legislatori nazionali il compito di definire il precetto sanzionatorio, anche dal punto di vista penale. Delineato questo quadro introduttivo, allorquando si deve avviare un percorso di verifica nell’accingersi ad avviare una transazione commerciale e/o finanziaria con interlocutori ubicati all’estero (fatta la debita premessa che ove l’interlocutore sia un soggetto residente nella UE od in un Paese del SEE o dell’EFTA le verifiche saranno notevolmente più ridotte) si ritiene che, dal punto di vista metodologico, l’analisi delle fonti normative, da parte di un soggetto di nazionalità Italiana o residente nel nostro Paese, debba procedere secondo il seguente ordine:
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